il Davinotti

il Davinotti: migliaia di recensioni e commenti cinematografici completi di giudizi arbitrari da correggere

LA VILLA A MONTE MARIO
grandi vetrate e piscina
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340944 commenti | 64531 titoli | 25606 Location | 12817 Volti

Streaming: pagine dedicate

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  • Film: Bello mio bellezza mia (1981)
  • Multilocation: Ex luna park Varesine
  • Luogo reale: Viale della Liberazione, Milano, Milano
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  • Film: Con tutto il cuore (2021)
  • Luogo del film: La casa di cura dove Ottavio (Salemme) viene ricoverato per tre mesi
  • Luogo reale: Casa del Popolo, Via Matteo Renato Imbriani, Napoli, Napoli
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ULTIMI VOLTI INSERITITUTTI I VOLTI

  • Irena Prosen

    Irena Prosen

  • Rebecca Antonaci

    Rebecca Antonaci

Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.

ULTIMI COMMENTI

Commento di: Carluccio
Thriller più che dignitoso in cerca di atmosfere argentiane con una regia che dimostra polso nel mettere in scena uno script che vanta tutti i cliché di quel periodo. Si ha l'impressione di un lavoro ben bilanciato con un po' di horror, di nudo, qualche momento di suspense che funziona e un ritmo che si mantiene lineare. Purtroppo assai blande risultano musiche, scenografie e ambientazioni; d'altronde si sa, al budget non si comanda. In complesso un lavoro gradevole e interessante, che non annoia.
Commento di: Herrkinski
Ragazze vanno a lavorare per la stagione in una fattoria che coltiva marijuana, di proprietà di una misteriosa signora e dei suoi due figli. Curioso folk-horror, tra suggestioni pagane e stregoneria, che a tratti può ricordare una versione campestre di Suspiria; l'idea di base è perlomeno originale e alcune scene splatter sono d'impatto. L'atmosfera, avvolta nei fumi inebrianti dell'erba, è ben resa e fa perdonare delle protagoniste piuttosto insopportabili, nella media degli horror odierni; menzione d'onore invece per la Badler, che ben incarna la strega crudele ed elegante.
Commento di: Enzus79
Film, diviso in più atti, che si fa apprezzare più per la forma che per la sostanza. Lo stile di Wes Anderson in questo caso è imponente: visivamente eccezionale. I personaggi risultano poco empatici e alquanto freddi, soprattutto quelli degli adulti. Apprezzabile come viene raccontato il dietro le quinte della progettazione di un'opera teatrale. Tendenza a salire.
Il mio vicino Totoro (1988) di Hayao Miyazaki con (animazione)
Commento di: Rambo90
Sicuramente rivolto a un pubblico più infantile rispetto al resto della produzione del maestro, ma comunque permeato dai sentimenti a lui cari e dotato di un garbo e di una poesia unica e semplice. L'animazione è sempre affascinante e rapisce fin dall'inizio, mentre la sceneggiatura avanza per piccole situazioni, fiabesche ma ancorate alla realtà grazie ai problemi di salute della madre delle protagoniste. Può non restare impresso come altri film dello studio ma si lascia guardare con piacere.
Commento di: Schramm
Se del maiale non si butta via niente, perché non dovrebbe essere altrettanto del corpo umano? Ed è subito deadsploitation (riciclaggio defunti a scopo alimentare) che va incontro all'eco-vengeance (ogni gatto ne va letteralmente matto). Esaltante no? Se si accettano toto corde i parametri del grindhousing (ingedienti perfetti, dosaggi sballati) e del "chi fa da sé fa per trash" si può sorseggiare il brodo di giuggiole. Ma non è questo il caso in cui è così facile farseli andare a meraviglia, troppi i tempi cadaverici, purtroppo non genialmente riciclati come i cadaveri del plot.
Commento di: Pigro
Due stagioni tv di cortissimi che, su una base di lunare e giocosa demenzialità naif, raccontano le modalità riproduttive di insetti e pesci con rigore scientifico e modalità da documentario, in microscene dove la protagonista compare bardata di costumi allusivi. Idea bizzarra e folgorante, felicemente trash e pop, ma anche intellettualmente poderosa, capace di vanificare ogni bigotteria anti-gender e semmai di aprire riflessioni ambientaliste (nella seconda stagione). Potente la narrazione secca, essenziale, quasi telegrafica. Un must!

ULTIMI PAPIRI DIGITALI

Il film riprende l’idea che due anni prima aveva dato vita a THE GROOVE TUBE: episodi brevi o brevissimi accostati immaginando il palinsesto tipo di uno strampalato canale televisivo (“Tunnel vision”, per l’appunto). Qui si aggiunge un prologo nel quale una speciale commissione è chiamata a giudicare l’idoneità delle trasmissioni, dal momento che il pubblico americano, a quanto viene detto,...Leggi tutto ne risulta completamente rimbecillito. Per far capire agli astanti la nocività del canale viene quindi proiettata in aula una selezione dei programmi in modo da comporre un’ipotetica giornata completa, dall'inizio degli show alla chiusura notturna. Vediamo così, uno dopo l’altro, sketch fulminanti, false pubblicità, trailer di film e tutto quello che si può immaginare se si conosce il particolare sottogenere (il più noto esponente del quale, ma anche l’ultimo in ordine di tempo, è il RIDERE PER RIDERE di Landis).

Ciò che colpisce è la quantità di episodi anche brevissimi che fungono da stacco e l’assenza di altri (almeno un paio) più lunghi che caratterizzino il risultato finale. Non è un male però, perché l’espediente implica anche un minor rischio di annoiarsi. Di tanto in tanto spunta qualche volto noto (John Candy o lo stesso Chevy Chase di THE GROOVE TUBE, qui chiamato a mettere in guardia sui sintomi del crollo nervoso in uno spot salutista tutto da ridere), ma nel complesso va detto che l’intero cast recita in chiave comica davvero bene. Stupisce che il regista Neal Israel (presente anche nel cast nel ruolo del rabbino) in futuro perderà l’efficacia e la capacità di sintesi qui messa in luce dirigendo commedie scarsamente riuscite e restando nei ricordi di tutti come lo sceneggiatore di SCUOLA DI POLIZIA e poco altro.

In TUNNEL VISION la satira funziona, le gag politicamente scorrette lo sono veramente (il gioco a premi che indaga sul passato scabroso dei partecipanti), si gioca con la malattia e la morte (notevole la pubblicità della linea telefonica per parlare con l’aldilà), ci si tuffa nel surreale e nel demenziale (il ponte in costruzione dalla California a Melbourne, la piattaforma petrolifera fiera di uccidere milioni di pesci…), si tirano in mezzo la Chiesa, le diverse etnie (la sitcom con gli zingari) e si abbonda con gli stacchi musicali o i jingle veri e propri (simpatico quello della catena di fast food salutista “Broccoli City”), perché sono anche le canzoni a dare buon ritmo al tutto. Si chiude dopo appena un’ora e dieci sapendo che il rischio di saturazione è inevitabile.

Qualche trasmissione che torna in più momenti, qualche personaggio che si riaffaccia senza un perché tra i vari episodi (il cuoco francese) sono già tutte idee che anche Landis sfrutterà in RIDERE PER RIDERE. Perché in fondo la formula di questi film è sempre la stessa e funziona proprio grazie alla sua semplicità. Qui il montaggio lavora molto bene, e nonostante non tutto possa colpire nel segno e la cornice in aula risulti superflua e molto meno divertente del resto, la maggioranza delle gag funziona (ottima la “candid camera” legata agli agenti della CIA) e sortisce il desiderato effetto comico parodistico, con l’utilizzo di disegni e animazioni che rimandano al seminale MONTY PYTHON’S FLYING CIRCUS, fonte primaria e modello per questo tipo di umorismo. Già l’apertura su un presunto medico che pubblicizza un corso di proctologia per corrispondenza mentre sullo sfondo sfila una serie di sederi al vento la dice lunga sugli intenti del film, che tuttavia evita quasi sempre la volgarità gratuita mostrando una certa ricercatezza nell’umorismo, pur sforando qua e là nel becero.

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Sette episodi di durata variabile (da meno di mezz'ora a quasi cinquanta minuti) per raccontare la storia - vera - di Richard Gadd, che nel film interpreta se stesso cambiandosi il nome in Donny Dunn. Comico senza grandi speranze, stand-up comedian che ottiene ai suoi spettacoli reazioni perlopiù fredde dal pubblico, Donny incontra un giorno, nel pub dove lavora, Martha Scott (Gunning), una ragazza di dimensioni non indifferenti che sembra immediatamente attratta da lui; forse perché a differenza degli altri non pare evitarla e anzi, si dimostra gentile, disponibile ad ascoltarla.

Tra...Leggi tutto i due nasce un rapporto di amicizia che tuttavia lei cerca di trasformare forzatamente in amore: scovato il suo indirizzo di posta elettronica in un vecchio sito, Martha comincia a inondargli la casella con decine e decine di mail dense di errori ortografici in cui prova a stabilire una relazione di ferro. Non è quello che Donny cerca, benché lei sia la prima persona che da tempo mostra di accorgersi della sua esistenza; anche per questo Donny non riesce a chiudere un rapporto che si fa di giorno in giorno più morboso. E’ su questo rapporto che viene costruita una serie il cui obiettivo primario è quello di scavare nell'intimo di Danny conferendogli la giusta tridimensionalità; vi riesce, anche perché a scrivere il copione (e a sedersi dietro la macchina da presa) è Gadd stesso, che naturalmente conosce fin troppo bene il protagonista.

A risaltare è innanzitutto l'estrema fragilità di Donny, la sua perenne incapacità di prendere una decisione: si lascia trasportare dagli eventi dando l'impressione di essere privo di una vera spina dorsale. Vive con la madre della sua ex ragazza che lo ospita gentilmente, prosegue l’attività di cabarettista con scarsi risultati. Anche perché è totalmente assorbito dall'ossessionante presenza di Martha, che non smette di scrivergli nemmeno per un giorno. Ci vogliono sei mesi perché Donny si decida a denunciarla alla polizia come stalker, ma senza minacce chiare non è facile procedere.

La situazione si ripete piuttosto monotematicamente, pur se i caratteri dei due protagonisti (molto più interessante quello di lei, è inevitabile) vengono restituiti non solo con verismo ma anche con buona ricercatezza nei dialoghi. Si sarebbe potuto ad ogni modo sforbiciare con facilità la vicenda senza privarla di efficacia, tanto che l'improvvisa sterzata imposta nella quarta puntata appare salvifica: tornando indietro di cinque anni nel passato, si raccontano i primi passi da comico di Donny a Edimburgo (è lì per un singolare festival dedicato agli esordienti nel campo), la sua vita dissennata e l'incontro con un importante autore televisivo che pare instradarlo verso il successo. La droga, il sesso e l’immersione in un mondo totalmente diverso ci allontanano dal rigido schema della relazione a due, che aveva comunque già iniziato a inserire qualche variazione con l'entrata in scena di Teri (Mau), una terapista transessuale grazie alla quale Donny sembra ritrovare finalmente equilibrio e amore autentico. Alla vita di sempre si ritorna dalla quinta puntata in avanti, relegando la quarta (che è anche la più lunga) a eccentrico intervallo utile a spezzare la monotonia e capire meglio i motivi di molte scelte del protagonista (compresa quella di convivere con la madre della sua ex).

Non c'è nulla di effettivamente rivoluzionario nella serie (la figura dello stalker è peraltro una delle più inflazionate, nel cinema di oggi), eppure si ravvisano nell'operazione freschezza, modernità, il desiderio autentico di mettere a nudo una vicenda drammatica attraverso l’esperienza personale. Richard Gadd “è” il baby reindeer del titolo, la “piccola renna” (il più frequente dei vezzeggiativi usati da Martha), ossessionato fin del profondo nell’animo da una situazione da cui non sa come fuggire. E se ancora la regia mostra di essere acerba, se qualche passaggio fin troppo ripetitivo esiste, le idee per ritagliarsi uno spazio non indifferente nel mare magnum delle serie di oggi ci sono indubbiamente; e Gadd sa come metterla in scena donandogli il fondamentale realismo che la caratterizza.

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Dietro a un titolo banale e anonimo, ennesima variante di un classico citato ormai infinite volte, si nasconde un film invece con più di una qualità, che pur rifacendosi anche nell'idea di base al capolavoro monicelliano sa offrirne una versione moderna che ne...Leggi tutto eredita in giuste dosi amarezza e divertimento. Siamo anche qui a Roma ma la zona interessata, nominata spessissimo nel film, è il Labaro, quartiere a nord della Capitale dove abitano due ladruncoli da quattro soldi, Ruggero (Giallini) e Cosimo (Mastandrea). Il primo è un elettricista sposato con Marisa (Natoli) e ha un figlio, il secondo ha l'hobby dell'aeromodellismo.

Quando Cosimo, durante un lavoro, conosce un ricco collezionista d'arte (Ferrari) che rimpiange il magnifico Van Gogh perso al gioco da suo nonno e viene a sapere che proprio quel quadro è custodito in un museo lì nei pressi e potrebbe rivenderlo al ricco signore per oltre un milione di euro, fa due più due. Anzi, di più, perché Marisa lavora proprio come custode in quello stesso museo! Insomma, avrebbe già un compratore e a portata di mano la disponibilità di chi conosce molto bene l'impianto di sicurezza. Chiama Ruggero e lo convince a dare una svolta alle proprie vite, coinvolgendo nell’operazione pure la moglie inizialmente riluttante. Sarà sufficiente procurarsi una copia del quadro e sostituirla nottetempo eludendo gi allarmi e le telecamere provocando un blackout.

In campo avverso milita Piero (Favino), poliziotto dotato di buon acume, un matrimonio fallito alle spalle e che già ha messo gli occhi su Ruggero e Cosimo in seguito a una rapina condotta dai due ai danni di un autobus di coreani. Due mondi contrapposti nella sfida sempiterna tra guardie e ladri, tra le più battute dal nostro cinema. La storia però a sorpresa gira bene e tutti e quattro i protagonisti confermano bel talento interpretativo, riuscendo in qualche modo a sopperire alle carenze della regia un po' zoppicante di Antonello Grimaldi e alla povertà della confezione, dovuta alla destinazione televisiva del film. Peccato, perché la sceneggiatura di Walter Lupo (a cui si deve anche il soggetto) e Luca Rossi aveva ottime potenzialità. Soprattutto per come viene risolta la seconda parte, in cui si perde parzialmente lo spirito ironico che pervadeva fin lì il film ma si acquisisce spessore drammaturgico (guadagna spazio Favino, nella prima parte poco presente) azzeccando qualche convincente colpo di scena e un bel finale in cui ancora una volta si sfrutta la bravura del cast per raggiungere un buon risultato.

Giallini dei tre mattatori sembra il meno incisivo (all'epoca era ancora poco noto al grande pubblico), ma il personaggio nelle sue corde comunque l'aiuta. Qualche forzatura nel tentativo di dare un taglio romantico al personaggio di Cosimo (che ad ogni complimento si schermisce rispondendo solo "sono un elettricista"), un certo accenno di sciatteria dovuta alla limitata coralità di una storia che di solito prevederebbe ben più figure implicate nel progettato furto, ma il tutto gira e, considerato che si tratta di una produzione televisiva (Mediaset), ci si può dire soddisfatti.

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Il tenente Colombo

Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA

L'ISPETTORE DERRICK

L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA

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